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Via
Piccolomini 13 non esiste più e mi dispiace,
perché là io ci sono
nato. La via esiste ancora ma è stata mozzata all'altezza
dell'Acquedotto, (cioé il Viale XX Settembre, per i non
triestini) e
il rimanente pezzo, la riveta, ha cambiato nome.
Trieste è cambiata tantissimo da allora e, il fatto che la riveta oggi si chiami Via Giorgio Strehler, mi fa anche piacere, visto che lì c'è il Politeama Rossetti. Però rimane il fatto che io sono nato in un posto che non esiste più. Mi consola poco che ora sia Via Strehler 3 invece di Via Piccolomini 13 e che almeno il 3 sia rimasto. Anche la riveta è cambiata, ora ci passano le automobili, magari a senso unico, ma ci passano. Le colonnette di pietra che impedivano l'accesso dalla Via Crispi, non ci sono più. Era bello sedersi su quelle colonnette e guardare giù verso il Viale. Non c'era molto traffico e solo qualche rara automobile andava o veniva dal Centro, percorrendo, lentamente gli stretti controviali. Nella maggior parte dei casi passavano Topolino e Balilla e già erano eventi degni di nota per noi ragazzini. Poco più avanti, dopo il Politeama, sotto la scalinata di Via Ireneo della Croce, c'era un grande arco buio che dava accesso, durante la guerra, al rifugio antiaereo, nel quale trascorsi molte ore durante i miei primi mesi di vita, ignaro delle bombe che piovevano su Trieste. Nell'immediato dopoguerra, il rifugio venne utilizzato come garage da un pilota automobilistico triestino, un certo Mario De Boni. Per noi ragazzini, diventava uno spettacolare avvenimento, quando la sua automobile, con un sordo ringhio del motore, passava lentamente nel controviale, diretta al garage. Correvamo giù per la riveta per sognare, inseguendo la Cisitalia 202 Spyder Mille Miglia "Nuvolari", rossa e scoperta. La rincorrevamo fino a quando finiva inghiottita nel buio del vecchio rifugio. Il rombo di quel motore e l'odore di benzina che spandeva nell'aria, era un'emozione unica per noi, che non ci preoccupavamo minimamente di salvare il pianeta dall'inquinamento. Ritornavamo sulla riveta felici come dopo aver avuto una visione, commentando e facendo ipotesi sulla velocità che poteva raggiungere quell'auto da sogno. Quando raccontai a tutti che io c'ero salito veramente su quell'auto, nessuno mi credette, ma era quasi la verità. Mio nonno era amico di De Boni e un giorno, mentre passeggiavamo lungo il Viale ed eravamo quasi di fronte al garage, arrivò la Cisitalia rossa. Mio nonno ebbe un lampo di genio, e mi chiese: «Te piasesi far un giro su quela machina? Io rimasi muto a bocca aperta, con gli occhi sbarrati dalla meraviglia, mentre lui entrava nel garage chiamando ad alta voce: «Mariooo!». Poco dopo, riapparve seduto a fianco del pilota su un'automobile quasi uguale alla rossa ma di colore argento. De Boni mi fece segno con la mano di raggiungerli. «Monta su dei, che ndemo a far un gireto.» e aggiunse sorridendo: «Andemo con questa che la ga posto de drio i sedili.» Accovacciato di traverso nell'angusto spazio dietro ai due sedili, con il vento sul viso e il rombo del motore negli orecchi, non sapevo dove guardare... la macchina, le case che scorrevano via veloci, la gente che si girava a guardarci, ero in un sogno che ancora oggi, dopo tantissimi anni, mi è rimasto vivo nella mente. Dopo, non mi importava nemmeno di non essere creduto dagli amici, tanto quel sogno sarebbe stato mio per sempre. Una volta alla settimana arrivava un carro, trainato da un vecchio cavallo stanco e rassegnato, che piano piano si trascinava lungo il Viale e si fermava all'inizio della riveta. Portava un carico di botti di birra Dreher per la Trattoria al Teatro, che era a metà della salita. Il cavallo non ce l'avrebbe mai fatta a percorrerla così ripida, ma dei volonterosi uscivano dalla trattoria e, con fatica, aiutavano Sior Rico a far rotolare le botti su fino all'ingresso della Trattoria, dove Siora Amabile aveva già pronti gli otavi di vino per dimostrare la sua gratitudine ai volonterosi amici e clienti. Allora scendevamo dalle colonnette e andavamo a sederci sulla gradinata del Politeama, proprio di fronte, per assistere a quegli sforzi, con una certa ammirazione e con qualche inevitabile commento sul possibile peso di quelle grosse botti. |